Come nasce una scultura
Quante volte mi sono sentito chiedere ''ma dove trova questi legni'' e successivamente ''come le è venuta questa idea'' oppure ''sapeva già cosa ci avrebbe fatto?''

Per rispondere a queste domande dovrei partire da molto lontano, da quando nacque in me la passione per i pupazzi di legno del mio teatrino.
Avevo all'incirca dieci anni e passavo la maggior parte del mio tempo inventando storie e facendole recitare ai miei pupazzi.Ad un certo momento mi stancai di vederli così, sempre con lo stesso sguardo inespressivo, fisso e distante, e la stessa mancanza di emozioni.

Cominciai a costruirmeli da solo, incidendo pezzi di legno morbido e creando una folla che seguiva passivamente i miei stati d'animo, affinandomi sempre più nella tecnica seguendo anche i consigli di mio padre, ex artigiano, che mi insegnava tutti i segreti del legno: come affrontarlo, come piegarlo alla mia volontà. Da allora non sono più riuscito a farne a meno, una specie di malattia con decorso benigno, una droga nel pensiero, una vocazione nell'anima.
E crescendo io sono cresciuti anche i mie pupazzi dall'anima di legno, uomo io e umanità loro, sempre presenti intorno a me con gioie e dolori e infedeltà e rimpianti.

Quando poi questa è diventata la mia professione, ho cercato altri materiali per esprimere le mie emozioni: l'alabastro con le sue trasparenze e la sua morbidezza sensuale, il marmo duro, compatto, quasi ostile, e la pietra, l'impoeticità del cemento, il ferro e la resina, con lamagia delle linee e l'accattivante complicità della materia e infine la terracotta. E dopo questo lungo percorso il ritorno al legno, primo unico e grande amore.
E allora, come rispondere a queste domande?

All'inizio c'è solo l'ansia della ricerca, prima dentro me stesso e poi nel mondo circostante. Solo dopo comincia l'affannosa rincorsa verso l'ignoto, la forma vaga che vive già nei recessi della memoria e attende l'esplosione di luce che la farà apparire, e l'incontro con gli occhi di dentro, quelli che vedono ciò che non esiste ancora ma che già sanno ogni curva, ogni linea, ogni piano, ogni lucentezza di ciò che sarà.
E' questo il momento fondamentale nella creazione di un'opera d'arte, quell'attimo che separa l'uomo dall'artista e che rientra nel noverodella cose che si hanno dentro o non si hanno e che nessuno può insegnare.

Da questo tempo, prenatale all'opera, prende il via il fatto creativo con la sua prima fase: la ricerca del materiale. E qui comincia il mio vagabondare per spiagge e maremme e cave di pietra, con l'occhio attento a frugare tra le dune di sabbia, nei campi, tra le cataste di legna da ardere, alla ricerca di quell'ombra segreta chiusa nella pietra o nel legno, una ricerca che è stimolo, avventura,scelta dell'occhio e della fantasia. E' l'attimo più eccitante, l'autentica folgorazione attesa con ansia e trepidazione, tra delusioni e false promesse, tra scoppi di entusiasmo e abbattimenti improvvisi. Non ricordo niente di più emozionante nella mia vita, a parte la nascita dei miei figli e poche altre cose, delle passeggiate solitarie sulla spiaggia da Marina di Alberese a Bocca d' Ombrone, là dove il fiume ha trascinato centinaia di legni senza vita, sradicati dalla furia delle piene e lasciati a consumarsi di sole e di vento, tra gli arbusti di lentischio ed i lunghi ciuffi d'erba che popolano le dune di sabbia.

Specialmente ricordo certe mattinate d'inverno con la pioggia, il vento di tramontana che scendeva dall'Amiata coperto di neve ed io e loro, soli, a cercarci lungo la riva del mare. E la spiaggia della Feniglia all'alba, con i voli dei fenicotteri e qualche capriolo che fuggiva a rintanarsi nella silenziosa complicità della pineta.

Camminare solo, con il rumore del mare e le grida dei gabbiani, sollevare i tronchi dalla sabbia e lasciarli poi in piedi, come una folla, e poi girarsi a guardarli e sentire un fremito dentro e sapere che fra poco l'avrei visto, lui, lei, la forma sconosciuta ancora ma che certamente si trovava lì, tra quella lunga processione immobile che guardava silenziosa il mare. E tornando indietro ritrovarli come vecchi amici, fino a quando un tuffo al cuore ti dice: fermati.

E allora per la prima volta lo vedi, lo guardi, gli giri intorno, lo carezzi, ne provi la consistenza, gli strappi via qualche lembo marcio, lo rimiri a lungo.
E' lì, davanti a te e non aspetta altro che il tuo aiuto per uscire dalla sua prigionia. E allora ti nasce dentro una forza che non sapevi neppure di avere, riesci a sollevarlo, trascinarlo fino al mare, legarlo con una corda e farlo scivolare sull'acqua che ti aiuta a sostenerne il peso.A questo punto l'opera è già nata, è tutta nella mia testa, so già dove togliere, dove scavare, dove essere delicato e dove scagliarmi con violenza.

E quando alla fine l' ho liberata di tutto ciò che la tratteneva, quando posso sedermi stanco e soddisfatto davanti a lei e guardarla, solo allora sento la tensione sciogliersi e la commozione farsi rapidamente strada in me.
Qualche volta mi sono scoperto anche a piangere.
Ma questo è un segreto tra me e lui.
O lei.
O loro.

                                                                Nino Mandrici




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